di Gianfranco Lauretano
(English text below)
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La pittura di Frisoni mette in crisi, e’ qualcosa che obbliga a ripensare, a distinguere, a giudicare, come dice la parola greca krinein da cui ‘crisi’ deriva, attraverso alcuni passaggi. Ma il giudizio non ci appartiene piu’, non ne siamo piu’ capaci. La crisi della letteratura e dell’arte e’ una crisi di giudizio, di scelta. Non e’ che non si dipinga piu’, anzi: non si sa piu’ scegliere. E’ un gesto che ha un brivido dentro, in effetti, come quello che compie Frisoni, quando sceglie un soggetto da dipingere da una foto, perfino da una cartolina.
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Della scelta noi abbiamo soprattutto il senso di cio’ che e’ escluso; e’ un senso cosi’ forte che perdiamo di vista cio’ che contemporaneamente viene preso, abbracciato. Ma sarebbe come chiedersi quali immagini, quali attimi diversi persino della stessa immagine – dello stesso luogo, dello stesso percorso dell’automobile, della stessa strada di quel giorno… vengano esclusi dalla scelta di Frisoni: e’ una domanda inutile.
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Questo pittore e’ leggero nella scelta. Decide che quell’incrocio entrera’ in un suo quadro quasi con non chalance, lo fotografa e quel momento, così simile a innumerevoli altri momenti, diventera’ addirittura un’opera d’arte, qualcosa che per noi ha ancora un’aura quasi sacrale. Questo ci mette in crisi. Frisoni pare dirci che l’arte e’ proprio la scelta di un particolare tra miliardi affinche’ anche tutti gli altri particolari (non scelti) possano essere amati. Non si ama il tutto se non se ne sceglie un particolare.
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In questa sfacciataggine della realta’ sta uno dei nuclei pulsanti della pittura di Frisoni. Un residuo di civilta’ occidentale suggerisce ancora a molti di noi che la scelta di un soggetto dovrebbe essere in qualche modo esemplare, come se contenesse una epifanìa, un elemento esplicativo del resto e in qualche modo privilegiato. Non e’ cosi’ in Frisoni. I suoi quadri sbattono in faccia soggetti d’una ordinarieta’ sconcertante; il traffico, i paesaggi… il giudizio e la scelta di Frisoni sembrano disattendere ogni metafisica. O forse rischiano la ricerca di una visione metafisica nell’ordinario, il che e’ indizio che il pittore e’ un uomo concreto.
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Frisoni lo sa che la nostra civilta’ non e’ piu’ se stessa, che non c’e’ piu’ un centro, un cuore piu’ grande che aiuta la critica, cioe’ la scelta ed il giudizio. Lo sa che il dato fondamentale del presente e’ il caos senza centro, il luogo metropolitano della geografia disordinata in cui e’ impossibile a tutti figurarsi una mappa e, percio’, una direzione. Ma forse la sua arte e’ semplice come un bambino che, messo in un enorme emporio di giocattoli, ne sceglie uno (o qualcuno) che potrebbe anche non essere il più costoso: ma in quella scelta ricomincia il senso del supermercato.
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Un altro elemento ostacola la possibilita’ di un qualsiasi arzigogolare sui quadri di Frisoni: la sua straordinaria capacita’ tecnica, nel disegno come nella pittura. Frisoni e’ uno straordinario artigiano della pittura, un maratoneta dell’immagine, un talento naturale della figura e della verosimiglianza. E’ una capacita’ innata, quella che una volta, quando avevamo meno dubbi sul nostro luogo, sul nostro volto e, di conseguenza, sulla nostra dimora, si chiamava grazia. Anche questo talento mette in crisi un gusto contemporaneo tutto sommato anti-figurativista e contribuisce a rendere ancora piu’ sfacciata e allegra la scelta critica del pittore.
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Qui mi sembra poter riconoscere il rischio di questo percorso, davvero ‘critico’, nel senso almeno binario del termine. La crisi contenuta nei quadri di Frisoni e’ del pittore e del fruitore. La scelta e’ fatta e non ha nulla di spirituale e neppure di carismatico. E’ un tratto di una storia, il segmento di un racconto il cui centro occorrera’ ricominciare a cercare, senza rassegnarsi alle cassandre del mondo molteplice, informe, complesso e caotico a cui vorrebbero che ci rassegnassimo. Perche’ c’e’: la pretesa e’ qui che il nesso di tutto sia unico e riverberi in ogni particolare di se’.
CRITICAL PATHS
by Gianfranco Lauretano
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Frisoni’s painting puts you in trouble, it is something that makes you think and think again, to discern, to judge through some passages. The judgment, though, does not belong to us, we are not able anymore. The crisis of literature and art is a crisis of judgment, of choice. It is not that nobody paints anymore, rather: nobody knows what to paint. It is an act with a tension whitin, as the one Frisoni does, when he chooses a subject to paint from a photograph, even from a postcard.
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We have the feeling of what has been excluded from this choice; it is a feeling so intense that we forget what has been taken, embraced. But it is like to ask oneself which images, which moments of time, even different from the image itself, or place depicted, are left off from Frisoni’s choice: it is a useless question.
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This painter is light in choice. He decides which crossing light will enter his painting with non-chalance, he photographs it and that moment will become a work of art, something that for us still holds a sacral aura. This gives us trouble. Frisoni seems to be telling us that art is just the choice of a detail in billions of details. You can not love everything without choosing something in particular.
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In this bold aspect of reality lies one of the pulsing nucleus of Frisoni’s painting. A debris of western civilization is still saying to us that the choice of a subject should be something important, some kind of epiphany, an explaining of the whole and somehow privileged. This is not the case with Frisoni. His paintings throws in your face ordinary subjects: traffic, landscapes… the judgement and the choice of Frisoni seem to avoid any methaphysics. Or maybe they try to search a methaphysical view of the ordinary, which shows us that the painter is a man with no frills.
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Frisoni knows that our civilization is changing, there is no more center, a bigger heart helping us to judge, or to choose. He knows that the main thing of the present time is caos without center, the metropolitan disorganized geography in which it is impossible to find a map, henceforth, a direction. Maybe his art is simple as a child that, once put in children store, chooses one toy (or some) not necessarily the most expensive: but in that choice we find the supermarket inner sense.
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Another element makes it difficult for us to fool around with Frisoni’s painting: his extraordinary technical ability, in drawing and in painting. Frisoni is an incredible artisan of painting, a marathon man of imaging, a natural talent of figure and realism. It is an inner quality, one that, when we had lesser doubts on our place, our face and, consequently, on our position, was called grace. This talent too puts in trouble the contemporary taste of some kind of anti-figurativism and makes the critical choice of the painter even bolder and more gay.
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Here we can recognize the risk of this path, critical indeed, in the binary sense of the word.The crisis contained in Frisoni’s paintings belongs to the painterand to the viewer. The choice is done and is nor spiritual nor carismathic. It is part of a story, of a novel whose centre has to be rediscovered without giving up when the Cassandras of modern times come our way. A message exists and tells us that the whole is unique and it reverberates in each of its details.